Oggi Pigment Workroom compie 6 anni, ma esattamente cinque anni fa chiudevamo l’esperienza di “Enziteto Real Estate” inaugurando il nostro studio nel quartiere Madonnella di Bari.
Per questa occasione riportiamo le parole del nostro Presidente Mario Nardulli in un articolo apparso nel 2015 per la rivista n.26 de “Gli Asini” che ben spiega la genesi di Pigment Workroom.
La capacità del graffiti-writing di uscire inalterato, anzi a volte più radicale, dall’esplosione commerciale della disciplina-gemella della Street art, è segno di riproducibilità e di identità di quel fenomeno nato negli USA negli anni ’60.
Questa ricerca della purezza nel disegnare in luoghi pubblici è il punto di partenza della mia ricerca personale, e possibilmente, di chi entra a contatto con le attività del nostro laboratorio Pigment Workroom.
Come mantenere viva la gestualità politica e sociale originaria dell’arte urbana in un contesto che via via si è abituato alla lettura di tutto ciò che viene letto come hip-hop?
La maniera migliore è provare a mettere in rapporto chi riempie la città di scritte e chi si chiede cosa vogliano significare. Da qui è iniziato nel 2010 un dialogo con le istituzioni per la concezione di spazi ai writers insieme all’organizzazione di eventi e mostre con artisti per noi rappresentativi di un modo ancora originale di portare le proprie idee per strada. Il funzionamento di questo schema aperto è rivolto in primis verso i cittadini di Bari, culminato nella produzione del documentario “Bari Graffiti”, ci ha portato a formalizzare le nostre attività tramite il bando regionale “Principi Attivi 2012” e quello nazionale “Culturability 2013”.
Il risultato è la nascita di Pigment Workroom, un laboratorio artigianale per la stampa artistica, per la promozione di ogni forma di arte urbana che sia capace di essere ancora pubblica e sociale anche se assaltata dai media e dal sistema dell’arte contemporanea.
Effettivamente, l’affermazione che “la Street art è morta” non è da dirsi sbagliata, se si considera l’approccio iniziale di chi, dal basso, ha iniziato nei primi 2000 ad utilizzare strumenti più aperti e meno autoreferenziali per fare arte urbana in forma perlopiù illegale.
Avere dei riferimenti, saper distinguere, è un lavoro essenziale anche nel campo delle arti urbane, volto a individuare un approccio coerente fra strada e galleria d’arte. Quel che si è visto a livello internazionale è invece la proliferazione di quella Street art che ha invertito il processo creativo, che non ha più origine dalla strada per poi assumere forme più commerciali, ma anzi, spesso vede lo spostamento di opere “galleristiche” in spazi pubblici a fini meramente pubblicitari.
L’istituzionalizzazione della Street art è il risultato di tutto questo, con festival che riempiono di colore spazi spesso centrali delle nostre città e già, per questa ragione, portatori di identità e bellezza. L’apparizione di murales da un giorno all’altro risulta anche “verticale”, calata dall’alto senza un coinvolgimento del contesto nel quale si inserisce.
Sulla legalizzazione di una forma d’arte nata in opposizione alle autorità, ogni contesto ha le sue reazioni, negli Stati Uniti è normalità vedere un certo tipo di Street Art crossato, ovvero coperto, dai writers. Cosa che oramai succede sistematicamente anche verso le opere del blasonato Banksy, che dunque vengono messe sotto protezione non solo da chi vuole rimuoverle per venderle nelle case d’asta.
Queste dinamiche, in una provincia del Mondo come Bari, non sono ancora arrivate, lasciando più spazio di manovra per l’introduzione corretta di questi fenomeni alla città. La maggior parte dei suoi abitanti è poco conscia delle evoluzioni culturali ed anche economiche che queste scritte hanno vissuto negli ultimi decenni, e ciò assicura il divertimento, oltre all’apprendimento.
Quest’ultimo aspetto è punto di partenza per ogni nostra attività, perché è il modo più diretto per coinvolgere ed essere coinvolti dai contesti in cui lavoriamo, che solitamente non conoscono questo tipo di arte, come è successo nel primo evento organizzato nel quartiere San Pio di Bari nel mese di giugno 2014. Il titolo “Enziteto Real Estate” invita ironicamente a guardare in maniera diversa le zone periferiche delle nostre città, provando a creare un dialogo con chi non sente suoi i problemi e i luoghi comuni che caratterizzano gli spazi urbani non centrali.
Enziteto è un quartiere simbolo di questa polarizzazione interna alle nostre città, e benché sia numericamente più piccola delle “sorelle” Zen di Palermo e Scampia di Napoli, è inquadrata come un ghetto del ghetto, con un incompiuto progetto di case popolari che tuttora vede la sola presenza di un bar, un minimarket, una chiesa per i suoi tremila abitanti, (non) collegati al centro città con un bus da condividere nel suo infinito percorso con i richiedenti asilo del CPT di Bari Palese, con prevedibili tensioni.
Da quasi 10 anni si è insediata nella struttura abbandonata della scuola media la Cooperativa GET, fondatrice dell’Accademia del Cinema Ragazzi, che ha da sempre impostato la sua azione nell’apertura totale verso il quartiere. La mia prima visita ad Enziteto, luogo ignoto per adolescenti provenienti da Bari, corrispose alla festa dei diplomi della scuola del primo anno. E mi sorprese vedere mischiati, fra gli studenti, ragazzi provenienti dal quartiere e alcuni miei amici, anche più piccoli di me. L’idea, semplice quanto impegnativa, era di porre in rapporto centro e periferia dando strumenti per fare cinema a livello creativo quanto tecnico a persone di estrazione sociale quasi opposta, portando le cineprese nel cuore di un quartiere ignorato dai media come le istituzioni. Il risultato è che alcuni studenti di quel primo anno sono tornati in Accademia in veste di insegnanti, altri hanno fatto del cinema la loro professione, fungendo inoltre da ponte fra quartiere ed artisti rinomati che collaborano con le iniziative della scuola.
Il nostro ingresso nella periferia delle periferie, che nel frattempo è stata rinominata “San Pio”, è stato enormemente facilitato dal poter dichiarare di provenire dall’Accademia, parola magica che oramai ha preparato gli inquilini delle palazzine popolari a tante forme di stranezza, compresa quella di colorare quattro facciate cieche di tre piani insieme ai ragazzini del quartiere. Questa fase è però solo l’ultima di un lavoro durato mesi, partito con un corso di graffiti-writing riservato agli under-16 di Enziteto, con la partecipazione dei nomi storici del writing barese. Essere accomunati a qualcosa di anti-istituzionale rende facile i rapporti con i ragazzi, ma è altrettanto spiazzante, per loro, scoprire gli aspetti più “culturali” e meno commerciali ed aggressivi del writing, spingendo sempre ad una visione di gruppo e di rispetto. Smontare questa immagine “gangsta” dei graffiti non è facile, ma è molto stimolante vedere come uno strumento “sporco ma buono” aiuti a creare nuove identità.
Questo è il passaggio primario a cui vogliamo arrivino tutti i ragazzi dei nostri corsi, legandosi a poche lettere e poche ma importanti regole non scritte. In contesti detti “difficili” lo scegliere autonomamente di ubbidire ad una disciplina, al confine fra arte e politica, porta ad utilizzare un forte strumento comunicativo in una forma molto vicina a quella usata dai suoi pionieri dei ghetto di New York, ovvero “contro” qualcosa, in risposta ai quartieri centrali.
Per questa ragione riserviamo l’incontro con la Street Art ad un momento successivo, quasi a conclusione del percorso educativo. Si gioca molto sull’importanza dell’arrivo di artisti internazionali, sul mediare il conflitto fra le due discipline, sulla necessità di arrivare insieme alla trasformazione estetica del quartiere per la sua apertura al mondo esterno.
Insieme ai ragazzi ci si aggira per il quartiere e i suoi centri di ritrovo, raccogliendo opinioni e possibili aree di intervento artistico. Coinvolgendo altri ragazzi e bambini siamo riusciti ad accedere al cuore di Enziteto, in casa degli inquilini, spesso genitori dei nostri studenti, che dovevano concedere l’autorizzazione per la decorazione delle palazzine. Quando sono i bambini stessi a spiegare il progetto è tutto più facile, anche se gli ostacoli non sono mancati, visto lo stato spesso penoso degli immobili, che porta subito alla domanda: “siete del Comune?”.
L’aver agito esclusivamente con le nostre risorse, aldilà dello sponsor dell’azienda municipale AMIU per la concessione della piattaforma mobile, ci ha permesso quindi di saltare altre forti diffidenze, diventando noi una risorsa volta a mettere in evidenza i problemi del quartiere, visto l’afflusso dei media e dei curiosi per le strade del quartiere. Primo risultato: il centro che si affaccia in periferia, tante persone e tanti amici accorsi per vedere gli artisti in azione, rivelando di non sapere dove si trovasse Enziteto: “ma qui è Bari?”. Eh.
L’arrivo di Alfano, Geometric Bang, Tellas, Ciredz e Alberonero è corrisposto ad un clima di festa durato per una settimana. Mentre qualcuno su una gru trasformava l’aspetto di un’intera palazzina, altri artisti guidavano studenti e non nel disegnare su pareti in stato di degrado, integrandosi ogni giorno di più nel quartiere. La reazione degli abitanti è stata di accoglienza a tuttotondo, in una pioggia di focacce, birra e richieste di intervento sulle altre pareti rimaste spoglie.
Lo scambio potrei dire che è stato equo: mai avrei pensato di conoscere certi aspetti della mia città, poter giocare a pallone con ragazzi che affermano che “Enziteto non è Bari”, tifando però insieme la stessa squadra nella piazza considerata la più off-limits di Bari, sentire al tempo stesso appartenenza e massima distanza da quel luogo tenuto troppo lontano dagli occhi di tutti.
L’aver scelto artisti giovani, ben disposti a lavorare in un contesto partecipativo ha permesso di rendere “orizzontale” e coinvolgente la realizzazione dei disegni, che pur se astratti, hanno provocato negli studenti una riflessione in primis di carattere tecnico ed artistico, superando il fascino della bomboletta per sperimentare strumenti con cui disegnare superfici enormi, obbligando a divenire un po’ più “sociali” verso chi vedrà quei disegni ogni giorno.
Inoltre l’aver conosciuto di persona gli artisti ha offerto loro un’alternativa che pochi mesi prima era impossibile immaginare: sapere che riescono a girare il Mondo e a guadagnare dei soldi facendo cosa? Dei murales. Impossibile.
“Quindi voi vi pagate tutto facendo serigrafia? E che è?”. E via a spiegare la serigrafia, altro strumento in più nel portfolio.
L’obiettivo è ripartire a marzo con i nuovi corsi, mantenendo sempre Enziteto cuore del nostro Real Estate, che in cantiere prevede anche il far conoscere fra loro le diverse periferie di Bari, oltre farle conoscerle meglio a chi, come me, le periferie le ha sempre vissute solo “per sbaglio”, in quei rari e spesso casuali eventi in cui mi rendevo conto che il centro è spesso la parte più piccola della rete in cui viviamo e troppo spesso la sola ad essere considerata, specie per le attività culturali.
Sebbene sia chiaro che non saranno delle pareti colorate a risolvere problemi di carattere ben più serio, certo è che l’arte pubblica, facendo apparire qualcosa di estetico in spazi da sempre considerati per loro natura “brutti”, può rappresentare una scusa per far interagire fasce diverse della città, invertendo per una volta le rotte centripete.